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POLICARPO XENOFILO

Dopo la morte del Patriarca Cirillo, fu unto Patriarca il Presbitero Policarpo, in età di settanta anni, e molto egli temeva e diceva nel suo cuore: "Come potrà un uomo vecchio reggere la casa di Dio?"

Ed ecco, Policarpo era talvolta fiducioso e sereno come se avesse un'anima giovane e talvolta corrucciato e triste fino alla disperazione, ma aveva con Dio speciale confidenza, gli parlava spesso, veniva a patti con Lui, Lo rimproverava e ne era aspramente ripreso.

Il Vescovo non amava ricevere consigli e ricacciava con energia quelli che lo rimproveravano o si permettevano di giudicare il suo operato. E una volta accadde che il presbitero Epifanio, che prudentemente voleva ammonirlo perché non agisse in modo avventato e poco meditato, si sentì scacciare violentemente da Policarpo che gli diceva: "Come osi giudicare il cuore del tuo Patriarca? A Dio solo spetta il giudizio, perché egli soltanto conosce il profondo del cuore". E molti ritenevano che Policarpo fosse altero e rifiutasse i consigli dei suoi confratelli.

Al mattino si levava prima dell'alba e terminati i sacri riti nella Chiesa di San Michele, sedeva al suo tavolo e attendeva all'amministrazione della sua città e della Chiesa d'Egitto e mai si ritirò per riposare se non dopo aver disposto ogni cosa conforme alla sua volontà, sia nella giurisdizione civile che nei santi ministeri.

Il prefetto militare della città, di nome Probo, si comportava con Policarpo come avrebbe fatto con il suo generale e non osava discuterne gli ordini.

Policarpo aveva l'uso di ricevere ogni sessanta giorni la visita di omaggio di uno dei Vescovi delle quattordici maggiori città dell'Egitto, ed essi si recavano da lui a turno, secondo l’ordine voluto dalla tradizione antica, e Policarpo riceveva l'ospite, esaminava con lui le questioni più importanti della sua città o della Chiesa d'Egitto e con lui celebrava i sacri riti in San Michele.

E tale disciplina vigeva nelle diocesi dell'Egitto e tale ordine regnava tra il clero di Alessandria che molti dicevano: "L'autorità e il vigore del nostro Patriarca giovano molto alla nostra Chiesa".

Ma ecco, quanto Policarpo era severo ed esigente con il clero, tanto era tollerante e rispettoso nei confronti degli Ebrei e dei Pagani che vivevano in Alessandria e la fama di ciò si sparse presto nella Siria, nel Libano, ad Antiochia e nella stessa Grecia e accadde più volte che filosofi stoici, epicurei e accademici che non trovavano asilo nel loro paese, venissero in Alessandria e vi portassero il seme delle loro dottrine e più volte accadde che si vedessero dotti pagani alla Chiesa di San Michele, e Policarpo, che non sopportava il giudizio dei suoi confratelli, discuteva con loro animatamente e quando essi gli rispondevano con asprezza egli sembrava rallegrarsi, il Patriarca disputava con i Rabbini della Sinagoga e si tratteneva con loro fino al levare dell’alba per ascoltare dalla loro stessa voce i commenti della Legge e dei Profeti e quando qualche dotto viaggiatore proveniente dalla Grecia o dall’Italia si fermava in Alessandria il Patriarca si recava a rendergli visita e rimaneva ad ascoltarlo prestando la massima attenzione alle sue parole.

Ora ecco, in quei giorni venne in Alessandria Dioscoro, maestro nella filosofia, noto per i suoi studi su Epicuro e sull'antica sapienza dei greci, egli aveva allora quaranta anni ed aveva visitato tutte le città dell'Attica, del Peloponneso e della Beozia per insegnare la sua dottrina ma in nessuna di quelle città aveva voluto fermarsi ed era andato anche a Cipro, a Rodi e ad Antiochia e neppure lì aveva voluto fissare dimora, ma egli, avendo udito della liberalità del Patriarca Policarpo venne dunque in Alessandria e si fermò in una casa del quartiere del porto.

Poiché la fama di Dioscoro era grande ed alcuni greci, che erano familiari del Patriarca, lo avevano ascoltato nella città di Rodi, essi vennero da Policarpo e gli dissero: "Beato Patriarca, è venuto nella nostra città il filosofo Dioscoro che fu maestro tra i greci, vuoi dunque che noi lo andiamo a chiamare e lo facciamo venire presso di te?" e Policarpo rispose: "Lasciate che Dioscoro cerchi a suo modo la verità perché chi la cerca con cuore puro non può ingannarsi ed egli ha vagato per cento città e in nessuna di esse ha potuto trovare la pace".

Ed ecco, Policarpo si trovò a predicare in San Michele e così disse: "Dio nessuno lo ha mai visto e nessuno ha mai sondato i suoi misteri, ma l'Unigenito del Padre ce lo ha rivelato e ha detto: il Regno di Dio è nei vostri cuori, cercate prima il Regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta. Ed ecco, voi ogni giorno cercate la felicità, ma essa non è nella crapula dei dissoluti o nella violenza o nell'altrui dolore, ma nella semplicità, nella speranza e nell'accettazione delle sofferenze che Dio ci manda. Quanti uomini temettero la collera di Dio e seguirono la sua legge per timore più che per amore, ma sta scritto: io non vi chiamo servi ma amici, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma a voi ogni cosa è stata rivelata e questo è il mio comandamento: che vi amiate l'un l'altro come io ho amato voi e vi dico queste cose affinché in voi dimori la gioia e la vostra gioia sia perfetta".

Ed ecco, all'uscita della Chiesa molti si fermarono a parlare con Policarpo e gli dissero: "Noi siamo stati ad ascoltare Dioscoro l'epicureo ed egli ci ha detto: Dio è l'essere che possiede la gioia perfetta ed Egli non concede agli uomini di mostrarsi dinanzi a loro se essi non si dispongono a conoscere la vera gioia. Ed egli insegna che l'essenza di Dio è la felicità e che nessuno può conoscerla perché non esistono uomini perfettamente felici e dice che chi possiede la felicità non cerca altro e chi non la possiede tutto fa per possederla e non c'è età per essere felici, perché il giovane e il vecchio possono entrambi dedicarsi alla ricerca della verità. E dice che Epicuro insegnava a liberarsi delle superstizioni sugli dèi e soleva ripetere: Che Dio c'è lo devi credere, ma non devi credere che sia come tu lo pensi." E Policarpo disse nel suo cuore: "Costui non è lontano dal Regno di Dio".

E senza che nessuno lo sapesse, si recò in quella stessa sera alla casa di Dioscoro e lo salutò dicendo: "Il filosofo è colui che ama la saggezza e cerca la verità, come potrò non venerare un uomo che spende la vita per la ricerca della verità?"

E Dioscoro gli rispose: "Chi più del filosofo amerà lo spirito di tolleranza che tu hai fatto nascere in Alessandria?"

Ed essi parlarono a lungo, come due uomini che sono usi riflettere su ogni cosa e ogni giorno cercano la verità, e Dioscoro narrò a Policarpo attraverso quale strada egli fosse giunto alla filosofia.

Egli era nativo dell'isola di Kos e discendeva da famiglia di antica nobiltà, suo padre era uomo di lettere e possedeva una ricca biblioteca nella quale conservava le opere di Arato, di Nicia, di Posidippo, di Asclepiade, di Callimaco e di altri poeti, unitamente a quelle di Epicuro e di Zenone e a molti altri libri di filosofia e di medicina, e parlava con orgoglio di un rotolo molto antico degli Idilli che Teocrito in persona aveva donato alla sua famiglia in ricompensa di una liberale ospitalità.

I suoi primi anni furono particolarmente lieti ed egli fu educato al culto degli uomini dotti e della sapienza greca. Quando nel mese di giugno si celebravano le feste di Demetra in ringraziamento della abbondanza del raccolto, insieme con gli altri fanciulli nobili, cantava il demetreo.

Quando raggiunse i sette anni fu affidato a Crisippo ateniese perché lo avviasse alla conoscenza della grammatica e della retorica ed egli, che pure dimostrava zelo eccellente e singolare attitudine allo studio, appariva tuttavia inquieto e diceva spesso al suo maestro: "A che giova scrivere e parlare come i retori se i mietitori che lavorano nei nostri campi vivono felici senza la grammatica?" e Crisippo, che era vecchio e non sopportava che un giovinetto gli ponesse simili questioni, lo rimproverava dicendo: "Verrà il tempo in cui comprenderai".

Quando Crisippo morì, ed egli aveva ormai quattordici anni, Dioscoro cominciò a frequentare la scuola di Apollodoro di Samo e questi, lo condusse alla lettura di Platone e di Epicuro e volle che egli apprendesse ad amare la poesia e a considerarla maestra di vita. Apollodoro passeggiava nel giardino con i suoi discepoli che erano la gioventù eletta dell'isola, si sedeva con loro sull'erba, leggendo e spiegando la lezione degli antichi e lentamente e prudentemente faceva crescere la pianta della sapienza.

Attraverso le sue parole la dottrina di Epicuro giunse dolcemente nel cuore di Dioscoro che andava volentieri al giardino del maestro perché Apollodoro diceva che egli avrebbe imparato a conoscere se stesso.

Apollodoro parlava ai suoi discepoli di ogni cosa apertamente e senza reticenze ed essi  custodivano nei loro cuori le sue parole.

Ora ecco, quando Apollodoro prese a leggere gli Idilli di Teocrito, Dioscoro si sentì felice che un antico poeta avesse cantato l'amore per i ragazzi e lo disse pieno di gioia al maestro e questi gli rispose che non vi è in questo mondo cosa più bella che amare ma che imparare ad amare è una via dolorosa.

E quando Apollodoro parlò di Platone e lesse il Simposio e il Fedro, Dioscoro ancora molto si rallegrò, e Apollodoro si mostrò compiaciuto di quanto il discepolo gli dimostrava.

Al tempo in cui Dioscoro aveva ormai quindici anni, durante la stagione del raccolto, egli si allontanò dalla città e andò nei campi per assistere alla mietitura. Molti giovani nudi raccoglievano le messi e cantavano, poi, quando sopravveniva la stanchezza si stendevano a terra e si riposavano e talvolta lottavano tra loro.

Dioscoro li osservò e vide che ve ne era uno di singolare bellezza che aveva un portamento regale, gli si avvicinò e quello lo chiamò e Dioscoro senza badare alla propria nudità, toltasi la tunica, si mise anch'egli al lavoro e rimase lì fino al tramonto e dopo il tramonto si fermò a parlare con quel giovane che aveva la sua stessa età, si chiamava Diocleo ed era pastore, e parlarono dei loro desideri, Diocleo disse che avrebbe desiderato avere mille pecore e Dioscoro gli rispose che avrebbe voluto vivere in una città in cui tutti fossero felici e gli disse anche che aveva imparato da Apollodoro che la più bella di tutte le cose è l'amore, e così, dicendo, essi caddero l'uno nelle braccia dell'altro e provarono un trasporto così intenso che entrambi credettero di aver trovato ciò che nel mondo è la cosa più preziosa.

Il giorno seguente Dioscoro andò dal suo maestro e gli narrò quello che era accaduto e Apollodoro gli disse che non si deve mai tradire la fiducia di chi si ama e vedendo che Dioscoro era felice lo abbracciò e gli augurò di vivere con intensità il suo amore e Dioscoro ritornò alla sua casa con il cuore colmo di felicità.

Diocleo era di animo gentile e Dioscoro di giorno in giorno si accorse che il suo sentimento era ricambiato e cercò di vivere mettendo il suo amato sempre al primo posto e anche Diocleo si sforzò sempre di dimostrare i suoi buoni sentimenti.

E così giunsero ai ventidue anni e benché fossero di condizione molto diversa, il loro rapporto fu portato ad esempio di fedeltà e di reciproca dedizione e nessuno si meravigliò che un nobile la cui stirpe si faceva risalire fino agli dèi, avesse scelto di amare un giovane che pascolava le pecore e viveva del lavoro delle sue braccia.

Dioscoro andava volentieri alla capanna di Diocleo e trascorreva la notte con lui, talvolta lo accompagnava al pascolo o lo aiutava a mungere le pecore e quando Diocleo si recava alla casa di Dioscoro era bene accolto da tutti quelli della casa e nessuno mai mormorò per il fatto che egli non volle imparare a leggere e a scrivere.

Ma Diocleo, quando aveva ventidue anni, si ammalò di febbre e morì in soli cinque giorni. Dioscoro, che lo aveva assistito fino all'ultimo, strinse forte a sé l'amico morente, lo baciò, e cominciò a piangere disperatamente.

Quando il corpo di Diocleo venne arso sulla pira, Dioscoro pensò di uccidersi perché non riusciva a sopportare il dolore di averlo perduto, ma si riebbe e giurò a se stesso che Diocleo sarebbe rimasto sempre vivo nel suo cuore e che l'immagine di lui, quando aveva ventidue anni, lo avrebbe accompagnato tutta la vita.

Andò quindi dal suo maestro e Apollodoro cercò di consolarlo parlandogli di Epicuro e della fugacità della vita e gli disse che la morte non esiste per noi perché quando noi viviamo non c'è la morte e quando c'è la morte noi non ci siamo più, e che la vita è fatta per cercare la felicità, perché quando essa c'è nulla ci manca e quando non c'è noi manchiamo di tutto, e si trattenne accanto a Dioscoro tenendolo per mano e questi si sentì più sereno e da quel momento, per cercare una consolazione alla morte di Diocleo, si diede agli studi di filosofia ma tutto ciò che leggeva non riusciva a dargli conforto ed egli, quando calata la notte si stendeva nel suo giaciglio, piangeva calde lacrime perché era solo e la sua vita gli sembrava non avere più significato.

Egli cominciò a provare un senso di profonda inquietudine e per lunghi anni vagò per le città della Grecia, incontrò scettici, democritei, cinici, megarici e peripatetici, lesse in pochi giorni tutta l'opera di Teofrasto, e, seguendo il suo maestro Apollodoro, prese a studiare profondamente il pensiero di Epicuro e, lasciando la via indicata da Platone, giunse a negare Dio e l'anima, costruì alla maniera di Epicuro una morale che insegnava a ricercare in primo luogo la soddisfazione dei propri desideri più profondi ponendo il singolo individuo ad arbitro del bene e del male. Quando egli giungeva in una città, era preceduto dalla sua fama di filosofo e molti accorrevano per ascoltarlo tanto che in tutta la Grecia, perfino i maestri più stimati della filosofia parlavano di lui con rispetto e lo chiamavano Dioscoro l'epicureo, che presso i Greci è titolo di onore e di dottrina.

Dioscoro ebbe molti discepoli tra i pagani, i giovani andavano da lui perché egli li ammaestrasse nella dottrina di Epicuro e li conducesse alla ricerca della felicità ed egli, quando non aveva neppure quaranta anni, era ormai divenuto celebre e molti re gli avevano richiesto di fermarsi per insegnare nelle loro città, ma Dioscoro non si era mai fermato in nessun luogo e aveva continuato a peregrinare di popolo in popolo, portando nel suo cuore l'immagine di Diocleo così che ogni volta che egli vedeva un giovane di portamento nobile e di grande bellezza, rimaneva turbato e molti giovani siffatti vennero presso di lui ed egli li trattò con affetto come avrebbe fatto con Diocleo.

Quando Dioscoro ebbe narrato ordinatamente gli avvenimenti della sua vita, Policarpo rimase ammirato dal fatto che egli fosse giunto ad essere filosofo per una via tanto misteriosa e gli disse: "Tu dunque sei divenuto filosofo per cercare consolazione per la morte di un uomo che amavi e se egli fosse ancora vivo non avresti avuto necessità di ricercare la filosofia", e Dioscoro gli rispose: "In tutti gli eventi della vita e in tutte le dottrine che altro potresti cercare se non la consolazione di non avere amato abbastanza?". Policarpo fu stupito delle parole di Dioscoro e rimase silenzioso e Dioscoro disse al Patriarca: "Ho portato per te un dono dalla città di Rodi e tu sai che sono un uomo povero e non ho né oro né argento, ma ti prego, accetta il piccolo libro che narra le storie dei filosofi antichi e rendigli il debito onore poiché in esso è contenuta la saggezza dei greci", e nell'illustrare al Patriarca le vite dei filosofi, Dioscoro così gli narrò: "Fu Democrito filosofo grandissimo, nobilissimo di sangue e ricchissimo ed egli lasciò tutto il suo patrimonio ai suoi concittadini ed andò ad Atene per cercare la filosofia e per continuare il suo studio egli volle accecarsi per avere ingegno più sottile e più forti pensieri. E su questo fatto sorse fra gli altri saggi una grande disputa e l'uno disse che egli aveva preferito perdere gli occhi perché non voleva vedere il buono stato della gente malvagia e l'altro disse che si era accecato perché non poteva guardare una donna senza carnale desiderio di peccare e altri ancora dissero che egli si era punito per aver tentato di penetrare con occhi umani la tenebra del mistero naturale. E questo Democrito, prima di essere cieco, dopo essersi ritirato lungamente nello studio, ritornò alla sua città e vide tutti i suoi possedimenti deserti e distrutti e li guardò ridendo e disse: io non sarei salvo se voi non foste periti. E a uno che gli aveva detto che il suo figliolo era morto rispose: tu mi hai annunciato una cosa che io aspettavo, perché da quando egli è nato io sapevo che era mortale".

Il Patriarca fu molto ammirato della dottrina di Dioscoro e gli rispose: "Io annovero molti filosofi pagani tra i miei amici e fra essi peripatetici e accademici di grande fama, ma la tua dottrina è più vicina alla semplicità della verità che alla dialettica dei retori" e poiché Policarpo voleva ricambiare il dono e nulla aveva con sé che gli paresse degno, si tolse la croce d'oro che portava sul petto e gliela donò dicendo: "Accetta da me questo dono, perché io ti offro ciò che ho di più caro" e Dioscoro accettò il dono e i due si salutarono con rispetto e Policarpo disse nel suo cuore: "Quest'uomo parla la lingua degli uomini assetati di verità e certo saprà disporsi ad accettare la buona novella" e avrebbe desiderato annoverare Dioscoro tra i suoi amici e conversare con lui ma Dioscoro non si recò mai alla Chiesa di San Michele e rifiutò ogni privilegio che il Patriarca gli offriva, ma ecco, dopo alcuni mesi egli manifestò il desiderio di incontrare il Patriarca e questa voce giunse fino all'orecchio del Vescovo e questi molto si rallegrò e si ritirò solo nella chiesa di San Michele per pregare e così disse: "Ti ringrazio, Signore, perché hai posto sulla mia via un uomo giusto e lo hai disposto a ricevere la verità, ecco, tu hai voluto offrire al tuo servo Policarpo una gioia per la sua vecchiaia", e Dio gli rispose: "Ricordati di pronunciare solo parole di verità perché solo così la tua anima potrà vedere la gioia di una conversione". Ed ecco, Policarpo era felice poiché attendeva di ora in ora la visita di Dioscoro e nonostante l'età avanzata era pieno di vigore e di forza e ad ogni alba il suo cuore diceva: "Ecco, è venuto il giorno atteso".

E Dioscoro venne dal Patriarca e così gli parlò: "Venerato Patriarca, tu sai che la dottrina dei filosofi cerca l'evidenza del vero, la forza della ragione e il vigore degli argomenti eppure tu dici: chi crederà sarà salvo, quale sostegno ha dunque la tua fede? Su che cosa si fonda? E quanto alla felicità Epicuro insegna che essa è nella rinuncia e nella moderazione ma tu dici: la vostra gioia sarà perfetta. E ancora, quale vero figlio della Filosofia potrebbe negare che l'anima nostra esulta quando compiamo opere di carità verso altri uomini? E chi più del filosofo agirà per il bene degli altri uomini se egli predicherà la retta amministrazione dei beni pubblici e l'uguaglianza e anzi l'amicizia e la fraternità fra tutti quelli che dimorano su questa terra? Ma tu dici: Dio assiste il povero e il derelitto. Ma chi sarà più vicino al povero, colui che tutto potendo lo mantiene nella sua povertà o colui che potendo poco si adopera per alleviare la sua indigenza? E poi tu dici: se uno avrà tanta fede quanto un granello di senape e dirà a quel monte gettati in mare, quello si getterà in mare, ma i monti non si spostano e i poveri di questa città restano poveri e nessuno ha tanta fede da indurre chi li sfrutta al pentimento. Che cosa è dunque questa fede che nessuno possiede e sarebbe capace di rendere perfettamente felice l'ultimo degli uomini? E come potranno uomini che nulla sanno di se stessi e del loro cuore ricercare la erta via della fede, che nega perfino il privilegio di pensare? Conosci tu questo paradiso nella cui gloria a parole ti esalti? Che vi è nelle splendide parole che dici che meriti ascolto più delle favole dei poeti antichi? Al filosofo che è stanco di dottrine tu non dovrai rispondere parlando di consolanti speranze perché il filosofo valuta le dottrine da quello che producono, a me poi, che cerco la pace, giova solo sapere se la via di cui tu parli ti ha dato la pace. Dimmi dunque, tu che ami la verità, hai tu la pace nel tuo cuore? Rispondimi e rendi testimonianza alla verità".

Ed ecco, Policarpo era incerto e pensava tra sé: "Se dirò a Dioscoro che ho la pace nel cuore egli vorrà conoscere da me la radice della mia speranza, ma se gli dirò che non possiedo la pace egli non vorrà più ascoltarmi, ma ecco, egli mi chiede che io gli risponda secondo verità e io parlerò secondo verità" e così disse: "Io ho desiderato con tutto il mio cuore che tu abbracciassi la buona novella, ma ora che tu mi interroghi, comprendo che i poveri di questa città sono rimasti poveri e che i monti non si sono spostati e che la mia fede ha deboli fondamenta e che mi sono adornato di molte parole come fanno i retori, perché poco ho compreso di quella verità che pure vado predicando ed ecco, il filosofo epicureo ha mostrato al Patriarca la confusione del suo cuore, e Policarpo comprende di essersi accontentato dell'ombra della pace e del fantasma della verità".

E Dioscoro gli rispose: "Tu hai detto che non possiedi la pace, non sei tu dunque l'uomo che io vado cercando" e ciò detto si inchinò e in quello stesso giorno partì da Alessandria per tornare all'isola di Rodi.

E Policarpo rimase turbato e recatosi nella chiesa di San Michele, così parlo davanti a Dio: "Perché, Signore, Dioscoro ha rifiutato la fede? Ecco, io ho parlato secondo verità e non lo ho ingannato ed egli mi ha detto: non sei tu l'uomo che vado cercando. Forse se lo avessi trattenuto senza aprirgli tutto il mio cuore, sarebbe rimasto in Alessandria, ma io sono stato imprudente ed egli si è allontanato ed io che sono vecchio, non potrò più conoscere la gioia della sua conversione. Perché, Signore, tu mi hai detto: parlerai parole di verità e l'anima tua vedrà la gioia di una conversione?".

E Dio gli rispose: "Chi è l'uomo stolto che dice nel suo cuore: - Dio è ingiusto - ? Dio scruta dai cieli i cuori dei figli degli uomini per vedere se c'è chi ha senno e cerca la verità, e stolto è colui che dice: - riposati e godi, anima mia, perché hai trovato la pace -. Quando il tuo cuore esultava di gioia perché tu attendevi la conversione di Dioscoro io ho detto: - Confonderò quest'uomo e la sua speranza e lo metterò alla prova per vedere se egli preferisce l'inganno e la menzogna alla verità, se si compiace più del suo intelletto o della mia promessa e se tu avessi usato una lingua di falsità dinanzi a Dioscoro, che è uomo retto e cerca le verità, ti avrei strappato dalla terra dei viventi per gettarti nella desolazione, ma ecco, tu hai preferito la verità e hai stimato la promessa di Dio più della tua intelligenza e io ho detto: - correggerò il mio servo Policarpo, gli mostrerò la mia benevolenza ed egli edificherà per me le mura della nuova Gerusalemme - ed ecco ora tu dici: - se io non avessi parlato con lui secondo verità, egli sarebbe rimasto in Alessandria - e ti fai gloria della tua malizia e vorresti al posto della lingua un rasoio affilato e artefice di frode, e ami il male più del bene, la menzogna più del retto parlare, preferisci le parole false e la lingua perfida e sei come il potente che non ha posto in Dio il suo rifugio. Muta dunque vita e dì: io, e non Dioscoro ho bisogno di conversione, perché altrimenti io disperderò le tue ossa e ti disprezzerò come colui che è nell'abominio di Dio perché provoca la sua ira.

A te non ho promesso né consolazione né perseveranza, non ti ho dato sorrisi illuminati né bocche dolci di vergini baci, non ti ho concesso fremiti di gioia né pace né saggezza, non ti ho dato il dono di vedere con gli occhi del domani né la speranza, non ti ho detto ciò che farai né dove andrai nelle vie molteplici del mondo. Ti ho fatto schiavo e libero ad un tempo, ho scritto sul tuo cuore voci di solitudine e di pena, ti ho confuso di colpa e di superbia, ho sparso nebbia nella tua anima perché tu non conoscessi la felicità e ti ho detto: tu non vedrai dove conduce la tua via, ti avvierai smarrito, confondendo gioia e pena, perché ho allontanato da te le chiavi della tua anima. Impara dunque da Dioscoro a ricercare la verità e non fregiarti di meriti che non hai perché chi ama la menzogna non conosce serenità".

E il Patriarca gli rispose: "Ora comprendo che tu parlavi della mia conversione quando dicevi: - parlerai parole di verità e l'anima tua vedrà la gioia di una conversione - e hai voluto correggere il tuo servo Policarpo con le parole di Dioscoro, ma io rivolgo a te il mio grido, Signore, salvami".

E Policarpo fece riunire tutto il clero della sua città e così disse loro: "Dove sono la nostra fede e la nostra speranza se i monti non si sono mossi e i poveri di Alessandria sono rimasti poveri? Dov'è la nostra carità se il nostro cuore è vinto dall'ignavia e dalla paura? Che fede abbiamo noi se non compiamo le opere della fede? E che speranza se non siamo i primi a vivere la nostra speranza? E come abbiamo amato i nostri fratelli se abbiamo sopportato che altri li angariassero e li rendessero schiavi? E alcuni hanno venduto come schiavi i loro figli e le loro figlie per avere il grano con cui sfamarsi ed hanno impegnato i loro campi e le loro vigne e si sono ridotti in potere di uomini avidi e ingiusti. Ed ecco, andiamo come agnelli tra i lupi e gireremo per le vie di Alessandria per raddrizzare ogni cosa storta, per riunire tutto ciò che è spezzato  e per annunciare ai poveri il regno di Dio, e ci condanneranno e ci perseguiteranno e dovremo sopportare gravi tormenti e anche la morte ma avremo nei nostri cuori la gioia perfetta, perché così hanno perseguitato anche i profeti che furono prima di noi".

Ed ecco, scesero per le vie della città e si adoperarono per alleviare ogni genere di sofferenze e molti uomini ricchi condonarono i debiti ai loro debitori e restituirono i figli e le figlie del popolo che avevano preso come schiavi e liberarono da ogni vincolo i campi e le vigne che avevano ricevuto in garanzia, e Policarpo diceva loro: "Dio ha riscattato i nostri padri quando essi erano schiavi ed ha distribuito la terra promessa ad una generazione di uomini liberi, come potete voi rendere schiavi i figli dei vostri fratelli e mietere in un campo che non avete seminato?".

Ed ecco, gli uomini di Alessandria esultavano e dicevano: "Nella nostra terra ci sarà per tutti abbondanza di pane e nessuno ridurrà alla fame i figli di Dio", e molti del clero  dicevano al Patriarca: "Noi non ti chiederemo quando verrà il regno di Dio, perché, ecco, è già in mezzo a noi". E Policarpo rispondeva loro: "E' rinata la fede nel mio popolo ed ecco i monti si sono spostati e i poveri di Alessandria hanno riscattato i loro figli e i loro campi, ma non si gonfi di ciò il vostro cuore e non si riempia di orgoglio, perché Dio scruta dai cieli i cuori dei figli degli uomini per vedere se c'è chi ha senno e cerca la verità e stolto è colui che dice: - riposati e godi anima mia, perché hai trovato la pace -".

Ora ecco, in quei medesimi giorni il filosofo Dioscoro era giunto all'isola di Rodi e lì si era recato ad ascoltare gli insegnamenti di Ipparco, filosofo stoico originario di Mileto, la cui fama era allora grande in tutta la Grecia e dicevano che conoscesse l'arte della medicina e fosse eccellente matematico.

Ipparco era un uomo ricco ed aveva a Rodi una splendida casa sulla collina prospiciente il mare e presso quella casa si stendeva un grande giardino, cinto di portici di marmo, e qui il filosofo soleva conversare con i suoi discepoli che lo seguivano sempre ed erano in numero ristretto.

Venne dunque tra essi anche Dioscoro senza dire il suo nome ed era vestito come un uomo da poco e, a differenza dei discepoli di Ipparco, preferiva rimanere in silenzio, e uno dei discepoli gli disse: "Vedo, o straniero, che tu sei vestito come un uomo da poco, ma non devi preoccuparti, perché il nostro maestro accoglie tutti quelli che vengono ad ascoltarlo senza distinzione di ceto o di ricchezze e sceglie i suoi discepoli secondo l'acume del loro intelletto".

Ma ecco, Ipparco vide Dioscoro, e poiché non lo conosceva, cominciò a parlargli della Stoa come se si rivolgesse ad un uomo completamente ignorante di filosofia, e così gli disse: "Sappi che Antigono Gonata che fu Re di Macedonia soleva dire: - essere Re significa essere servo - e fu Zenone che gli insegnò questa verità quando Antigono lo preferì a Epicuro che allora diceva in Atene che ci si deve astenere dalla vita politica. E Zenone insegnava che il bene è la perfezione di ciò che è razionale secondo natura perché la vita è perfetta ragione e chi conosce la razionalità è virtuoso e la gioia e la letizia e l'esultanza del cuore non sono che fenomeni accessori che il saggio deve evitare per rimanere libero. Le ricchezze, la gloria, la salute e la forza sono indifferenti al filosofo che segue solo il dovere che è l'agire coerente alle disposizioni della natura. E dunque il filosofo vero sarà immune dalle passioni, dall'albagia e dalla vanità, nè cadrà mai nella follia perché egli conosce ciò che deve essere scelto.

Ed ecco, Zenone trattava i suoi amici come se stesso avendo con loro comunanza di tutto ciò che appartiene alla vita, perché l'amicizia esiste solo tra uomini virtuosi in quanto essi sono simili tra loro".

E Dioscoro così gli rispose: "Saggissimo Ipparco, tu hai parlato bene ma lascia che il tuo nuovo discepolo ti ponga una domanda e tu che sei amico di tutto ciò che è razionale secondo natura, mi risponderai secondo verità: - possiedi tu l'imperturbabilità del filosofo e sperimenti in te stesso le grandi virtù che dici derivare dall'esercizio della filosofia di Zenone?".

E Ipparco pensò nel suo cuore: "Se risponderò secondo verità e dirò che non possiedo l'imperturbabilità del filosofo e che non conosco le virtù che tanto ho esaltato nell'esercizio della filosofia, quest'uomo si allontanerà da me  e io perderò un discepolo che dimostra tanto acume da meritare di essere egli stesso maestro, ma se dirò di conoscere l'apatia del filosofo perfetto e di sapere giudicare in ogni cosa ciò che è razionale secondo natura, potrò avere un discepolo degno di me e lo ammaestrerò nelle vie della filosofia ed io stesso avrò gloria nel mio discepolo".

Ed ecco che Ipparco, che aveva detto che al saggio sono indifferenti la gloria e la fama, cercava per sè la gloria e la fama e così dunque rispose a Dioscoro: "Non per superbia, che non sarebbe da filosofo, ma per rendere onore alla verità e per rispondere alla tua domanda, ti dico che il mio cuore è libero dalle passioni e io conosco l'imperturbabilità del saggio, se dunque anche tu vuoi seguire la dottrina di Zenone, resta tra i miei discepoli e quando sarai giunto alla filosofia della ragione, ci onoreremo reciprocamente della nostra amicizia".

E Dioscoro gli rispose: "Sei tu l'uomo che vado cercando, mi fermerò dunque a Rodi e ti seguirò". E aggiunse di chiamarsi Dioscoro, di essere nativo di Kos e di essere già stato seguace di Epicuro.

Ed ecco, Ipparco molto si rallegrò e gli chiese: "Sei forse tu quel Dioscoro che scrisse le vite dei filosofi?", e Dioscoro rispose: "Sono io". E Ipparco gli disse che lui stesso e i suoi discepoli molto avevano riflettuto sulla sapienza contenuta nel suo libro e cominciò a chiamarlo maestro e amico poiché il cuore di Ipparco era felice che si convertisse alla dottrina di Zenone uno dei maestri più eminenti tra gli epicurei.

E Dioscoro gli rispose: "Perché mi chiami maestro se unica nostra maestra è la ragione che risiede nella natura? E perché mi chiami amico, se tu che giudichi ogni cosa secondo la verità della ragione naturale dici che l'amicizia è possibile solo tra uomini virtuosi e io, a differenza di te, non sono virtuoso perché non conosco ancora la perfetta ragione della natura?":

E Ipparco preferì non rispondere e congedò Dioscoro dicendo: "Verrai da me domani e pranzeremo insieme, perché la filosofia è il più alto esercizio dell'intelletto umano ed è riservata agli uomini migliori".

E Dioscoro si ritirò e promise che sarebbe ritornato l'indomani alla casa di Ipparco.

Il giorno seguente, poco prima del mezzogiorno, Dioscoro venne alla casa di Ipparco ma i suoi discepoli non c'erano e grande era il silenzio nel giardino della casa e Dioscoro entrò nella prima sala e vide Ipparco che respirava a fatica, accasciato sul pavimento, grondante di sudore gelato e subito lo soccorse, lo adagiò sul triclinio, asciugò il suo sudore e lo coprì col suo mantello, e quello, lentamente, si riprese e quando ebbe forza per parlare disse a Dioscoro di chiamare i servi e Dioscoro andò a cercarli e vide che nessuno era rimasto in casa e che tutti gli arredi preziosi che adornavano le stanze erano stati rubati e il forziere era aperto e vuoto e tutta la casa era in preda alla desolazione, tornò dunque da Ipparco e gli disse: "I venti servi che tu avevi nella tua casa sono fuggiti senza soccorrerti e ti hanno derubato di tutto il tuo oro perché stimavano che il tuo oro valesse più della tua vita, ma tu hai la saggezza del vero filosofo e il tuo cuore non si turberà per questo".

E Ipparco gli rispose: "I venti servi che avevo con me erano tutti nati in casa di mio padre ed io li avevo coperti di ogni beneficio, perché dunque essi mi hanno derubato e non mi hanno dato soccorso? E se tu non fossi arrivato in tempo io sarei morto e nessuno mi sarebbe rimasto accanto" e ciò detto si commosse e pianse.

E Dioscoro pensò nel suo cuore: "Io leggo sul volto di Ipparco i segni della commozione e dello smarrimento ed egli, che aveva detto di possedere l'imperturbabilità del filosofo, piange davanti a me perché i suoi servi lo hanno tradito quando egli ne aveva maggiore bisogno. A che giova quindi la dottrina di Zenone, se quest'uomo che era maestro nella Stoa cerca consolazione? Egli dunque non possedeva le grandi virtù che diceva derivare dall'esercizio della filosofia e poiché aveva bisogno di me ha preferito ingannarmi affinché io gli restassi vicino ed ha amato piuttosto dire il falso per avermi tra i suoi che ammettere di non essere vero filosofo. Ma ecco, io lo consolerò perché egli è un pover'uomo cui nulla giova la sua dottrina e quando avrà superato il suo turbamento e avrà riacquistato fiducia io partirò da lui".

E per dieci giorni si prese cura di lui e lo trattò come amico e condivideva con lui preoccupazioni e dolori, ma al decimo giorno Ipparco riprese a conversare con i suoi discepoli lodando gli effetti della disciplina filosofica di Zenone e Dioscoro venne presso di lui e gli disse: "Ecco, io mi sono onorato della tua amicizia, ma ora tu sei guarito e io devo andare alla ricerca di una donna che mi è più cara di te e che tu non conosci, lascia dunque che io mi allontani da te".

E Ipparco, che aveva compreso che la donna che Dioscoro amava era la verità, così gli rispose: "Vai dunque per la tua strada e cerca la donna che ami e quando l'avrai trovata avvertimi perché anch'io la possa conoscere".

Dioscoro dunque ripartì dall'Isola di Rodi e venne in Biblo di Siria poiché desiderava essere iniziato ai misteri orfici e pensava che in quelle dottrine o nei misteri egiziani di Osiride e nei culti frigi di Mitra avrebbe trovato conforto alla sua sete di verità.

Si diede a studiare a fondo la vita e l'ispirazione di Pitagora, meditò per molto tempo gli oracoli sibillini e i misteri di Dioniso e nella città di Batanea, conobbe il filosofo neoplatonico Calcidio, un uomo temuto perché dicevano che fosse mago e praticasse la teurgia, egli spiegava la trama dei misteri dell'universo attraverso i simboli che le antiche pratiche etico-religiose avevano imposto agli uomini.

Calcidio dunque così disse a Dioscoro: "Ogni fede che gli uomini hanno abbracciato contiene qualche elemento di verità se essa è veramente opera degli dèi, ma tutto ciò che gli uomini hanno aggiunto non è che finzione e invenzione della natura umana.

Gli Egiziani furono i primi a credere che l'anima è immortale e inquinarono la loro giusta fede contaminandola con l'empio rito dell'imbalsamazione che impedisce che ciò che è terra torni alla terra e condizionarono l'immortalità dell'anima alla fragilità del corpo.

E Pitagora visse in Egitto e molto seppe dei riti e dei misteri di quella terra e insegnò che l'anima è un istante della respirazione dell'universo e fu mago e sacerdote e parlò ispirato da Dio e svelò a pochi eletti i segreti della vita pitagorica, ma anche Pitagora inquinò la sua rivelazione con invenzioni umane e identificò l'armonia dell'universo con la musica e con i rapporti esatti della geometria.

E gli Orfici predicavano la catarsi del mondo e dicevano che il mondo sarebbe stato rigenerato ogni sedicimila anni dalle acque dello Stige trasformate in sperma, come alcuni pitagorici, credevano nella metempsicosi e per meritare rinascite migliori si astenevano dal sangue e dai sacrifici cruenti e si dedicavano ad assurde pratiche espiatorie. Chi di noi negherebbe che il mondo deve essere rigenerato? Eppure, chi di noi si asterrebbe dal mangiare fave per purificare l'anima sua?

E il Dio Mitra simbolo del sole uccise il toro della notte cosmica e dal suo sangue furono create le stelle, ma i seguaci di Mitra si bagnano nel sangue di un toro che mangia l'erba e pensano per questo di unirsi al Dio.

E Dioniso parlò dell'unità naturale di tutti gli uomini e volle essere il Dio della gioia e della gioventù, il dio della liberazione e dell'estasi, ma i suoi fedeli ne hanno fatto un dio violento e spietato che dà ai suoi eletti mano libera contro le sue vittime.

E non fu il divino Platone più mistico e mago che filosofo?

E finalmente Plotino, il nostro maestro, predicò il procedere dei molti dall'Uno e il ritorno dell'anima dal molteplice verso l'unità e disse che la vita è un'ascesi conoscitiva e morale e che l'anima deve elevarsi alla contemplazione dell’intelligibile nella piana della verità e che nella sua graduale purificazione deve essere guidata dall'amore della bellezza".

E Dioscoro chiese a Calcidio: "Come farà colui che si è iniziato alla tua filosofia a conoscere l'amore della bellezza e a contemplare l’intelligibile nella piana della verità?".

E Calcidio gli rispose: "Colui che percepisce il bene e il bello è in armonia perfetta col tutto e con l'Uno, ma ecco, molti corpi di uomini non sono sorretti dall'anima cosmica ed essi non sono dissimili dagli animali e sono solo materia, mancanza di essere e sono l'ombra del mondo e ad essi non spetta il nome di uomini, ma ai filosofi perfetti che sono illuminati dalla luce dell'Uno, tutto è permesso, poiché essi sono l'emanazione di Dio".

E Dioscoro gli rispose: "Tu che vivi in continua ascesi e vuoi elevare la tua anima alla contemplazione dell’intelligibile nella piana della verità, dimmi se sei tu guidato dall'amore della bellezza e sei giunto con gli occhi dell'anima alla contemplazione dell'Uno?"

E Calcidio pensò nel suo cuore: "Se parlerò secondo verità e dirò che governo i miei fedeli col terrore e col sangue costui mi disprezzerà, ma se gli dirò che sono illuminato dalla luce dell'Uno egli sarà il primo dei miei fedeli".

E rispose quindi a Dioscoro dicendo: "Dopo lunghi anni di contemplazione e di studio dei sacri misteri, la mia anima si è congiunta con Dio e vive nella luce dell'Uno. Se anche tu vorrai seguire il mio cammino, vieni un'ora dopo il tramonto presso la mia casa, e lì, insieme con altri nove miei discepoli riceverai l'iniziazione ai misteri di Osiride, che è il primo grado della via della luce".

E Dioscoro disse: "Ecco, sei forse tu l'uomo che vado cercando" e promise che sarebbe venuto per iniziarsi al culto di Osiride. E quando un ora dopo il tramonto giunse alla casa di Calcidio, fu rivestito di vesti bianche di lino e dovette compiere alcune abluzioni di rito, lo condussero poi, insieme con gli altri nove in una stanza senza finestre e qui bevvero vino speziato e Calcidio diceva: "Corroborate il vostro spirito per quando verrà la sacerdotessa" e a ciascuno dei dieci furono date delle foglie di alloro perché essi le masticassero e ne rimanessero inebriati come accadeva alla Sibilla di Delfi, e mentre gli altri nove discepoli di Calcidio masticarono le foglie e persero l'uso del loro intelletto, Dioscoro, che voleva conoscere ogni cosa senza perdere il controllo della sua mente, tenne in bocca le foglie ma non le masticò e, mantenendo desta la propria coscienza, finse deliberatamente di avere raggiunto l'estasi rituale e prese a comportarsi in modo simile a quello dei suoi compagni.

Ed ecco, Calcidio fece entrare una giovinetta ornata di oro e di smalti, ed era al principio della sua adolescenza e Calcidio annunciò: "Ecco la sacerdotessa di Osiride" e quelli che erano con lei nella stanza borbottavano frasi incomprensibili ed obbedivano ad ogni cenno di Calcidio e Dioscoro fingeva di fare altrettanto ed ecco, la sacerdotessa percuoteva con un flagello i dieci iniziandi e quelli si lasciavano percuotere ma ad un tratto Calcidio disse: "Questa donna ha osato percuotere i fedeli di Osiride e voi dovete farla morire perché il suo sangue sarà la vostra liberazione" ed essi si gettarono su quella giovinetta e cominciarono a percuoterla con i sistri e i tirsi del rito, ma Dioscoro si gettò su di loro e tentava di difenderla, ma quelli, che erano in dieci, la finirono sfracellando la sua testa contro i gradini dell'altare e fecero scempio del suo cadavere e Dioscoro, vedendo che per lei non c'era più nulla da fare, pensò alla sua salvezza perché i nove, istigati da Calcidio, si rivolgevano contro di lui. Cercò di avvicinarsi alla porta ma la porta era sbarrata dall'esterno e i dieci gli venivano incontro.

Prese quindi un candelabro e si fece largo fino al grande braciere che era presso l'altare e vi gettò grasso di montone ed acqua e si levarono densi vapori e fumi e molti di quelli che erano già indeboliti per aver masticato le foglie d'alloro rimasero storditi dalle esalazioni di gas e caddero a terra e Calcidio, quando si accorse di ciò, fece aprire le porte dall'esterno e si dette alla fuga e Dioscoro tentò di inseguirlo ma lo perse di vista e rimase in giro per la città a notte alta con una veste di lino bianco macchiata di sangue e fuggì verso la sua casa di buon passo perché pensava che Calcidio lo avrebbe atteso lì e lo avrebbe fatto uccidere e mentre fuggiva egli diceva nel suo cuore: "Come è vera la dottrina di Epicuro che dice: -maledetto colui che si macchia di sangue innocente e dice io sono un uomo pio e ho compiuto un sacrificio santo!-".

Venne quindi a casa sua e prese in fretta tutti i suoi averi e li mise in una bisaccia e si avviò verso la riva del mare e diceva tra sé: "Calcidio era un uomo empio che affermava di essersi elevato alla contemplazione dell’intelligibile nella piana della verità ma aveva un cuore falso e accecato dall'odio, non era certo l'uomo che io vado cercando. Dove andrò ora per trovare la vera filosofia se non ad Atene, patria di tutti i filosofi?".

E mentre era seduto sulla riva del mare e il chiarore della luna piena illuminava la notte guardò nella sua bisaccia e vi ritrovò la croce d'oro che Policarpo gli aveva donato e d'un tratto gli parve di essere illuminato e disse nel suo cuore: "Quando interrogai Policarpo egli mi disse di essersi accontentato del fantasma della verità e dell'ombra della pace ed ebbe dinanzi a me il coraggio della verità e nelle sue parole io non ho trovato inganno, egli è dunque figlio della verità e certo è lui l'uomo che io vado cercando", e subito si mise in cammino verso Alessandria.

E si fermò a Sidone e prese alloggio presso la casa dei pellegrini di quella città ma ecco, a notte alta, egli sentì che alcuni cavalieri erano scesi presso l'ospizio dei pellegrini e temendo che fossero i sicari mandati da Calcidio, si nascose in una botte e chiese a quanti erano con lui di negare di averlo mai conosciuto.

E i cavalieri entrarono e chiesero: "Alloggia forse qui il filosofo Dioscoro? Un uomo potente lo cerca ma egli è fuggito da Biblo diretto verso l'Egitto e nessuno sa dove sia, sapete voi darci qualche informazione?" e i pellegrini dell'ospizio risposero: "noi non lo conosciamo" e quando i cavalieri andarono via Dioscoro fuggì subito da Sidone e venne a Tiro e qui, presso la piazza del mercato riconobbe i quattro cavalieri che aveva veduto a Sidone e vide che erano agli ordini di un uomo che veniva condotto in un carro coperto, ed ecco, i quattro cavalieri vennero insieme con il loro signore alla casa dei pellegrini di Tiro ed egli scese dal suo carro ed entrò con essi nell'ospizio, ma siccome era lontano, Dioscoro non poté vedere il volto di lui, ma diceva tra sé: "Certo Calcidio non verrebbe di persona a cercarmi, chi sarà dunque l'uomo potente che mi cerca?".

E mentre egli così ragionava i quattro cavalieri uscirono in strada e gridavano: "Il nostro padrone sta male, venga subito con noi chiunque può soccorrerlo".

E Dioscoro entrò e riconobbe Ipparco accasciato in terra e grondante sudore gelato e tentò di rianimarlo, ma quello riprese appena coscienza, lo riconobbe, gli sorrise e spirò e quando tornarono i quattro cavalieri videro Dioscoro che piangeva sul cadavere di Ipparco e gli chiesero: "Chi sei tu che piangi sul cadavere di quest'uomo come se fosse tuo fratello?" e quello rispose: "Io sono Dioscoro che fu ospite nella sua casa a Rodi e si onorò della sua amicizia", e i cavalieri gli dissero: "Da quando tu sei partito il cuore di Ipparco si è fatto via più triste ed egli ha licenziato i suoi discepoli e noi che eravamo schiavi rustici, siamo divenuti liberti ed egli ci teneva nella sua casa come figli e ci diceva spesso: "Solo Dioscoro era degno del nome di filosofo, ma egli è partito per cercare la donna che ama e quella donna è la verità" e noi gli abbiamo risposto: "Mettiamoci dunque alla ricerca di Dioscoro ed egli ci condurrà sulla via della verità" e così siamo giunti fino a Tiro, ma ecco, Ipparco ha avuto la gioia di vederti ed è spirato e noi che eravamo fedeli ad Ipparco, poiché egli ci amava, saremo ora fedeli a te perché Ipparco diceva che si devono sempre seguire le vie migliori".

Diedero quindi sepoltura ad Ipparco e proseguirono insieme verso Alessandria, e Dioscoro narrò ai quattro liberti di aver compreso troppo tardi quanto fosse grande l'anima del loro padrone e li ammonì affinché si guardassero da uomini empi come Calcidio e dalle loro dottrine e mostrò loro la croce d'oro che Policarpo gli aveva donato e disse che nessuno era più vicino alla verità del santo Patriarca.

E Dioscoro amò i quattro liberti di Ipparco e fu per loro come un padre perché essi facevano rivivere a distanza di molti anni la semplicità e il portamento regale di Diocleo, che Dioscoro portava sempre nel suo cuore, ma egli non fece loro parola di ciò perché essi non rimanessero turbati. E Dioscoro ripeteva nel suo cuore: "Ipparco mi ha lasciato la più sublime eredità, il mio viaggio era una fuga ed è divenuto una festa".

E dopo molti giorni di cammino, giunsero in Alessandria ed entrando dalla porta occidentale, non videro la consueta folla di miserabili farsi intorno ai loro cavalli e venne presso di loro un araldo del Patriarca e li salutò dicendo: "Possa Dio benedire questi stranieri se essi sono uomini di pace, perché Alessandria è una città libera, aperta agli uomini liberi".

E Dioscoro volle subito informarsi del Patriarca e l'araldo gli disse: "Policarpo è il primo e il più attivo dei figli di questa città perché alle parole egli preferisce le opere". E Dioscoro vide intorno a sè grande attività di carpentieri e di muratori e tutti erano al lavoro e venivano dalle campagne lunghe file di contadini con carri carichi di erbaggi e di ogni prodotto della terra, ma ecco, alcuni contadini videro Dioscoro e i quattro liberti e dissero loro: "Venite ad aiutarci perché il raccolto è abbondante e la fatica è troppo grande per noi" ed essi, senza altro domandarsi, si misero al lavoro e fino a tarda sera non smisero di prestare la loro opera e quando si fece notte, i costruttori che lavoravano vicino alle porte della città chiesero a Dioscoro: "Hai tu e i tuoi amici un luogo dove riposare? Perché voi siete stranieri e non ci pare di avervi mai veduti in città", ed egli disse loro di essere già stato in Alessandria e di chiamarsi Dioscoro e di essere nativo di Kos, ed essi gli risposero: "Sei tu forse Dioscoro l'epicureo che scrisse le vite dei filosofi?" ed egli rispose: "Sono io, ma ecco, io avevo conosciuto in questa città il Patriarca Policarpo, che è uomo giusto ed è figlio della verità, ma mi sono allontanato da lui perché non ho saputo riconoscerlo" e mostrò loro la croce d'oro che Policarpo gli aveva donato ed essi gli dissero: "La tua venuta allieterà il cuore del Vescovo, poiché egli diceva spesso, parlando in San Michele: "Ho conosciuto tra i pagani un uomo giusto e il mio cuore ha desiderato la sua conversione e Dio mi ha risposto: - E' Policarpo che ha bisogno della conversione e non Dioscoro che è uomo retto e cerca la verità con purezza di cuore -".

E Dioscoro diceva tra sé: "Come potrò io parlare ad un uomo santo come Policarpo, che opera in Alessandria miracoli così grandi e muove le montagne e ha cancellato la povertà e la desolazione dal volto di questa città?" Ed evitò per questo di andare in San Michele a rendere omaggio al Patriarca.

Ma alla mattina del giorno seguente, alcuni di quelli che avevano lavorato con Dioscoro vennero presso Policarpo e gli dissero: "Il filosofo giusto del quale tu tanto hai parlato è tornato nella nostra città e ci ha mostrato la croce d'oro che tu gli hai donato: quale gioia sarebbe per te se egli abbracciasse la fede e si convertisse!"

Ed egli rispose: "E' Policarpo che ha bisogno di conversione e non Dioscoro, lasciate dunque che il giusto cerchi a suo modo la verità".

Ma quando Policarpo rimase solo, si ritirò in San Michele e prostrato dinanzi all'altare così pregò: "Perché, Signore, hai ricondotto Dioscoro in Alessandria? Tu sai che sono vecchio e nessuna gioia sarebbe per me più grande che battezzarlo e accoglierlo nel clero di questa città, perché certo egli è molto migliore di me, ma tu hai detto: - è Policarpo che ha bisogno di conversione e non Dioscoro che è uomo giusto - Insegnami, Signore, la tua via".

E Dio gli rispose: "Il mio regno è simile a un granello di senape che un uomo seminò nel suo campo e tu sei quell'uomo e il seme si sviluppò e divenne albero e gli uccelli del cielo si riposarono nella sua ombra ma quell'uomo era già morto e tu sei come Mosè che condusse il suo popolo alla terra promessa ma non vi entrò e la tua gioia sarà la mia promessa perché tu hai dubitato della verità e sei stato incerto della mia parola e io ti dico che Dioscoro sarà grande in Alessandria davanti a Dio e davanti agli uomini ma tu non vedrai il meriggio della sua giornata".

E Policarpo uscì dalla Chiesa di San Michele e subito vennero da lui alcuni presbiteri e gli dissero: "Abbiamo veduto il filosofo Dioscoro che parla nel nome di Cristo e glielo abbiamo proibito perché egli non ti segue come noi, eppure egli compie cose grandi in Alessandria" e il Patriarca rispose: "Chi non è contro di voi è con voi, e come potete voi credere che un uomo possa operare miracoli nel nome di Cristo e poi dire il falso su di lui? Lasciate dunque che egli operi secondo il suo cuore ed anzi, vi esorto, andate da lui e ditegli: - Il Patriarca ci manda a te perché tu ci insegni ciò che dobbiamo fare perché il regno di Dio rinasca in Alessandria - perché io vi dico che quest'uomo è figlio della verità e sarà grande in questa città davanti a Dio e davanti agli uomini".

E molti del clero vennero presso Dioscoro e parlarono dinanzi a lui come Policarpo aveva loro insegnato ed egli si pose con loro all'opera in città per moltiplicare le opere di carità e il popolo diceva: "Un pagano ci ha insegnato le vie del regno di Dio" e ogni giorno cresceva in Dioscoro il desiderio di rivedere il Patriarca e un giorno prese la risoluzione di andare presso di lui e venne alla Chiesa di San Michele e seppe che Policarpo era sceso nelle vie della città e come ogni mattina si era recato a visitare i gli ammalati per portare loro ogni genere di conforto materiale e spirituale e poiché non sapeva dove cercarlo, Dioscoro decise di ritornare al tramonto per rivedere il Patriarca.

Ma in quella stessa mattina l'Arcangelo Michele era apparso a Policarpo e gli aveva detto: "Vestiti come uno dei figli del popolo, parti da Alessandria e vai presso il villaggio di Sciamun e qui troverai un lebbroso che giace sul suo lettuccio, caricalo sul carro e conducilo in Alessandria presso la tua casa e prenditi cura di lui e lascia a Dioscoro le opere di carità che sono fiorite in città e avrai compiuto ciò che manca alla perfezione della vita di Dioscoro". E Policarpo smise i paramenti patriarcali e, preso un carro, fece come l'Arcangelo gli aveva ordinato e, venuto al villaggio di Sciamun, trovò un lebbroso sotto un ricovero di frasche fuori dell'abitato e lo condusse con sè in Alessandria e si prese cura di lui e al tramonto venne presso di lui Dioscoro e gli disse: "Venerato Patriarca, perché hai mandato presso di me il clero di Alessandria affinché lo spingessi sulla via della carità?" ma Policarpo non gli rispose e così gli disse: "Perché tu sia perfetto ancora ti manca qualcosa, vieni dunque e vedrai" e lo condusse presso il lebbroso e Dioscoro riconobbe Calcidio in quel lebbroso e ne ebbe orrore e fatto uscire Policarpo fuori delle stanza dove giaceva Calcidio gli disse: "Come posso avere pietà di quell'uomo empio e sanguinario? Ecco, tu puoi compatirlo perché non lo conosci e voleva spiegare a Policarpo che razza di uomo fosse Calcidio ma Policarpo gli rispose: "Se Dio guarderà i nostri peccati chi potrà resistere dinanzi a lui? Egli fu empio, ma chi concesse a te la grazia di essere giusto?" e Dioscoro disse: "Quest'oggi ho appreso una legge nuova e soccorrerò quest'uomo fino al giorno della sua morte".

E in quella stessa notte Policarpo si recò a pregare in San Michele e prostrato dinanzi all'altare così supplicò: "Dimmi, Signore, sono finiti i giorni del tuo servo Policarpo? Ecco, Dioscoro ha appreso la via della misericordia ed è divenuto perfetto, accogli dunque il tuo servo Policarpo che gode della tua promessa".

E Dio gli rispose: "I tuoi giorni non sono compiuti, ma io so che Policarpo ha convertito il suo cuore, ha imparato a confidare nelle promesse di Dio ed è divenuto un uomo giusto e io ti dico, andrai domani da Dioscoro e gli dirai: - Il Signore ti invita al banchetto delle nozze, metti quindi la veste candida e vieni nel suo palazzo, perché il grano di senape che Policarpo ha seminato si appresta a divenire albero e il popolo di Dio sta per entrare nella terra promessa".

E Policarpo venne all'alba presso Dioscoro e gli disse: "Prega, Dioscoro, perché il tuo fratello Calcidio sia mondato dalla lebbra poiché questa è la volontà di Dio" ed egli pregò e Calcidio fu mondato e anche se aveva ormai perduto una mano e un piede, riacquistò la sensibilità e la sua pelle divenne lucida e morbida come quella di un bimbo e ricominciò a parlare e benediceva il Signore dicendo: "Satana ha posseduto il mio cuore e si è fatto una fortezza nella mia anima ma tu lo hai cacciato ed  io sono un uomo libero" e in quello stesso giorno Calcidio partì da Alessandria e visse santamente nel deserto della Nitria fino al termine dei suoi giorni.

Ecco dunque, il Patriarca disse a Dioscoro: "Hai compiuto grandi prodigi nel nome di Cristo ed  egli ti invita alla festa delle nozze, metti la tunica candida e vieni nel suo palazzo".

E Dioscoro gli rispose: "Non ho ancora compiuto la mia scelta, e poiché io ho un'anima sola, non dirmi - affrettati -, affinché io ceda ai tuoi consigli senza seguire la voce del mio cuore, perché potrei essere costretto a venire da te domani per disperarmi, per disperarti, per disperarci", e Policarpo così gli disse: "Troppo spesso crediamo di scegliere senza scegliere di credere, ecco, io pregherò per te affinché l'alba di domani non ti trovi ancora col cuore turbato" e quella stessa notte Policarpo andò a pregare in San Michele e così disse: "Dimmi, Signore, sono finiti i giorni di Policarpo?", ma Dio non gli rispose e Policarpo, che aveva con Lui speciale familiarità, rimase turbato ed il Vescovo trascorse la notte vegliando nel chiostro di San Michele e pregando che Dio gli desse risposta, ma trovò solo il silenzio e  si sentì abbandonato e la sua fede vacillò.

Ed ecco, all'alba del giorno seguente vennero in Alessandria i messi Imperiali e consegnarono al Patriarca un decreto che portava le insegne della corte e il sigillo personale dell'Imperatore, in questo decreto, l'Imperatore professava pubblicamente la sua fede, riconosceva al Patriarca alessandrino l'antico titolo di Papa, gli attribuiva la piena giurisdizione civile sulla città e poneva nelle sue mani l'amministrazione e l'esercito.

Così Policarpo, che aveva quasi settantacinque anni e desiderava in cuor suo ritirarsi dal trono di Alessandria per cercare la meditazione e la solitudine del deserto, fu investito dei pieni poteri civili e in quello stesso giorno si presentarono a lui i capi delle coorti di stanza in città e i personaggi più illustri dell'amministrazione imperiale per rendergli omaggio.

E Policarpo diceva nel suo cuore: "Come potrò portare sulle mie spalle una croce così pesante?" e mandò quindi a chiamare Dioscoro perché lo consigliasse e quando Dioscoro giunse, così gli disse: "Al pastore del popolo di Dio è stato affidato anche il regno di questo mondo ma egli è uomo vecchio e fragile e cerca il tuo aiuto" e Dioscoro gli rispose: "Qualsiasi cosa tu mi chiederai io la farò perché io so che tu sei un uomo giusto" e si mise così al servizio del Patriarca e per un anno governò insieme con lui la Chiesa di Alessandria, e Dioscoro e Policarpo trovarono una singolare unità di intenti e discutevano tra loro come se avessero avuto la medesima fede, ma Dioscoro non accennò mai all'idea di ricevere il battesimo, perché gli sembrava una cosa non necessaria e Policarpo, la cui fede non era più confortata dal colloquio con Dio, aveva ormai rinunciato alla speranza di vedere Dioscoro fra i fedeli della buona novella.

Ma ecco, Dioscoro chiese a Policarpo: "Qual è stata, beato Patriarca, la tua consolazione?" e Policarpo gli rispose: "In questi anni il mio popolo è vissuto in pace ed io, che sono un uomo da poco, ho saputo governarlo nella giustizia, ed ecco, Dio ha voluto grandi Patriarchi nei periodi di pericolo e di smarrimento ed ha posto me sul seggio di Alessandria in un periodo di pace".

E Dioscoro gli rispose: "Come puoi, santissimo Patriarca, dire: - io sono un uomo da poco - se i poveri hanno trovato soccorso presso di te ed hai annunciato ogni giorno il regno di Dio? Se i potenti hanno temuto la tua giustizia e i miseri l'hanno attesa come una benedizione? Se tu hai saputo condurre il tuo popolo lontano dall'idolatria e hai insegnato l'amore per il prossimo? Se hai donato tutti i tuoi beni alle mense dei poveri e dei malati ed hai spinto molti uomini potenti a fare altrettanto? Chi è in Alessandria che non dica con tutto il suo cuore: - Il Patriarca Policarpo è un uomo santo e Dio lo ha mandato a noi come l'acqua del refrigerio?".

E Policarpo gli rispose: "Io sono l'operaio della vigna che fu chiamato all'undecima ora e il padrone gli pagò il denaro intero, ma io ti dico che sono ormai vicino alla morte ed ecco, ho smarrito la mia fede e non so ritrovarla, e io so che quando Cristo chiamò Giacomo e Giovanni quelli gettate le reti subito lo seguirono, e così accadde anche a Matteo quando Cristo passò accanto al banco della gabella e Matteo lasciata subito ogni cosa, lo seguì, ma io non sono come loro, ora ecco, io sono pastore e non voglio che le mie pecore vadano disperse e per questo soltanto proseguo il mio ministero senza fede e senza speranza". E Dioscoro gli rispose: "E non è un miracolo di Dio che un uomo senza fede possa essere il pastore dei credenti? E perché tu poi ti rattristi? Tu agisci per amore del tuo popolo e tu sai che l'amore del prossimo è simile all'amore di Dio, come dunque puoi avere il cuore turbato?"

E tra il Vescovo e il filosofo Dioscoro, crebbe di giorno in giorno la reciproca stima e la familiarità e Policarpo, quantunque senza fede, continuò a recarsi ogni notte a vegliare nella Chiesa di San Michele, perché diceva  che la perseveranza è figlia della volontà, e ogni notte invocava la risposta di Dio e lo pregava perché concedesse a Dioscoro di compiere fino in fondo il suo ministero in Alessandria.

Ed ecco, dopo un anno di ascesi e di preghiera, Dio tornò a parlare a Policarpo e così gli disse: "Quando la corteccia del fico si intenerisce e l'albero mette le foglie, voi dite che l'estate è vicina, ma il tempo di Policarpo non è ancora compiuto, ecco, tu salirai domani all'ambone della Chiesa di San Michele e parlerai come io ti insegnerò e le tue parole saranno come acqua vivente in mezzo al deserto".

E il mattino seguente, Policarpo venne in San Michele e quando si fu radunato molto popolo, alla presenza di Dioscoro, così parlò: "Ecco, io sono il testimone illuminato che vi parla di ciò che nel profondo delle anime nostre ci è evidente: dolce è tutto ciò che ha il sapore della vita, e vano è il male e vuota la morte. E il mio sguardo si muove di evidenza in evidenza e io so quale è la nostra eredità e nulla vi dico di nuovo, ma vi annuncio cose che sono da sempre, il mio cuore è una vampa ardente ma non incenerisce ed oggi possiedo ogni felicità: vedo una donna che partorisce e un fanciullo e un vegliardo giungere in una città dove ognuno ha un fratello. La febbre della vita mi invade e odo il grido del bimbo vigoroso e felice, odo l'invocazione di un uomo al cuore della verità, e io che sono vecchio ritrovo la mia ingenuità e il mio candore  come fossi rinato ed ogni cosa mi appare chiara e non ho più dubbi e vi dico chiaramente ogni cosa, e so che ogni tristezza non è stata che un attimo e mi appresso felice alle porte dell'eternità: io so che voglio il bene, io possiedo la speranza ed ho sconfitto l'oscurità della mia anima. Tutto, io vi dico, è volto al bene, anche ciò che nasce dal male e dalla sventura. Vivo oggi il mio slancio, ogni arrivo è una partenza, e so che nulla è necessario se non l'amore e comprendo che ho disposto lungo gli anni e le stagioni la  giovinezza che mi ha condotto fino ad oggi e vi dico, con la certezza nel cuore, che ho fede nel futuro. La mia fragilità vuole essere una testimonianza vivente ed io, nel mio giorno estremo sento rinascere la mia voce più pura e so di avere ragione anche senza merito, perché ecco, io appartengo ad ogni tempo e vi dico: - non più vittime, incubi e costernazione, mai più odio e angoscia, il sangue di un uomo si versa in un'ora ed è perso per sempre. Conservate la vostra certezza, voi non siete una folla stremata e vinta, non siete pietra nè legno, ma carne della mia carne ed ossa delle mie ossa, i vostri figli impasteranno il pane del futuro con la pace nel cuore e mai la speranza si allontanerà da questa città. Io vedo il mondo in cui non vivrò, il mondo che ancora non è, ma sarà, un mondo che possiede le sue certezze e sa ciò che è vano. Ed ecco, domani non morirò, domani sarò glorificato e i miei occhi vedranno le promesse di Dio. Non esisteranno deserti nè aridità e il mio cuore stillerà rugiada e conforterà quanti si avviano verso ciò che nessuno ha mai veduto".

E Dioscoro fu stupito delle parole del Patriarca e disse nel suo cuore: "Il mio cuore è incerto, ma oggi non ho dubbi, è Policarpo l'uomo che ho tanto cercato, verrò da lui domani ed egli che è uomo prudente, potrà comprendere le mie esitazioni".

E quando venne la notte, Policarpo si recò a pregare in San Michele e disse: "Signore, sono dunque conclusi i giorno di Policarpo?" e Dio gli rispose: "Hai combattuto la buona battaglia e hai vinto la tua corsa, vieni dunque a ricevere la corona, entra nel regno preparato per te fino dalla creazione del mondo, perché i figli di Alessandria gridano dinanzi a me: - avevamo fame e ci diede da mangiare, sete e ci diede da bere, eravamo deboli e ci sostenne, entra dunque nel seno di Abramo".

All'alba del giorno seguente Dioscoro venne in San Michele con l'animo esitante perché desiderava essere confortato da Policarpo, ma entrato in Chiesa, lo trovò senza vita, prostrato dinanzi all'altare e si ricordò che egli la sera precedente aveva detto: "Domani sarò glorificato e i miei occhi vedranno le promesse di Dio" e, mentre così ragionava vennero molti del clero e del popolo di Alessandria e tra essi i quattro liberti di Ipparco e piansero sul santo Patriarca Policarpo e chiesero a Dioscoro di essere loro pastore, ma Dioscoro era esitante perché non aveva la fede, ma egli vide che gli alessandrini erano senza guida e non volle che il gregge di Policarpo andasse disperso, si ricordò che lui stesso aveva confortato Policarpo dicendo che l'amore degli uomini è simile all'amore di Dio, e per amore di quegli uomini accettò di non opporsi al suo destino ed essi lo acclamarono loro pastore, e in quello stesso giorno fu battezzato e consacrato Vescovo e Patriarca e ricevette la corona del santissimo Atanasio e indossò la croce d'oro che Policarpo gli aveva donato e così avvenne che Dioscoro di Kos, che era stato filosofo epicureo amante della verità, divenne pastore del gregge di Alessandria.

 

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